Fare memoria dei defunti nell’anno della speranza

Fare memoria dei defunti nell’anno della speranza

Novembre 2, 2025 Off Di Mario Baldassarre
Immagine tratta da https://www.binews.it/

Ogn’anno, il due novembre,/ c’è l’usanza per i defunti andare al Cimitero.

Frequentemente mi ritornano in mente i versi de “’A livella” di Totò. Tutte le volte in cui assisto a discussioni sterili in cui si sfoggio di titoli, onorificenze, posizioni sociali e becere contese per questioni economiche, talvolta, con aspre forme di sopruso, ripenso al celebre componimento del principe del sorriso che, nel vernacolo napoletano, con ironia e leggerezza affronta il tema della morte, ricordando che davanti all’ultimo passo terreno siamo tutti uguali.

La chiarezza e la certezza di questo pensiero è un dato inconfutabile che fa arricciare il naso a quanti hanno manie di possesso: “Roba mia vientene con me”, gridava Mazzarò nella celebre novella di Giovanni Verga. Oltrepassando il cancello del cimitero, nella festa di Ognissanti, gli sguardi contriti si confondono con i volti assonnati di quanti hanno appena festeggiato la morte nella notte di Halloween: profonde contraddizioni che si scontrano come rocce su un limite di faglia. «La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5, 5), le parole di San Paolo mi confortano, invitandomi, al tempo stesso alla responsabilità, in questo tempo sempre più secolarizzato.

La riflessione che segue, tratta dal mio libro, “Nel segno di Giona. Pietre di pane al tempo del Covid-19” (Delta 3 Edizioni), è il ritratto della commemorazione dei defunti vissuta nel 2020, nel pieno della crisi pandemica. Anche in quei momenti, la speranza ha accompagnato il mio cammino.

“Commemorare i defunti è aprire uno spazio di consapevolezza sull’eternità. La vita acquista, così, un immateriale significato trascendente, rendendo la morte una componente dell’umana esistenza: linea di confine tra ciò che è stato e ciò che sarà per sempre.

L’aria è orfana del canto degli uccelli in questa giornata di inizio novembre. Il tempo è custode di sapori antichi, echi del passato che scorrono come granelli arrugginiti nella clessidra del presente. Ricordi ruvidi graffiano i sentimenti nell’uggiosa stagione autunnale. Lungo i filari dei cipressi, che costeggiano una memoria nascosta, lento è lo scorrere di una folla contrita: tutti con la mascherina a coprire il volto, come a nascondere l’espressione mesta.

Il cammino di anime vaganti si apre al raccoglimento accompagnato dalla flebile luce di un cero votivo e il tripudio colorito dei crisantemi a simboleggiare la vita, il bene, la gioia. Percorro in silenzio i sentieri, che mi portano lassù, da mia madre, col respiro attento di una melodia sublime: la nostra. Mi rincorre l’eco della “Cavalla storna”, memoria pascoliana, commovente nella profondità di sentimento a lei molto caro. Molti ricordi, sottili e raffinati, giungono da lontano ad addolcire amarezze e malinconie.

In chiesa, la Parola è scandita dal padre celebrante. L’eco si dissolve in lontananza accarezzando il volto pio di una madre assorta in preghiera: segno di antica devozione. Sul selciato ciottoloso si procede seguendo un religioso e silenzioso distanziamento; i respiri si smorzano sugli scogli umidicci della mascherina. Le preghiere sono regimentate temporalmente: un requiem aeternam come forma di devozione e altruismo per evitare assembramenti. Dal cielo scendono lacrime di pioggia a suggellare il riflesso di questa tradizionale, mesta ricorrenza.

C’è aria di commozione fra gli scrigni marmorei, in cui sono adagiati i nostri cari che hanno lasciato la vita terrena. Chissà se il tempo custodisce intatta e autentica l’intensità dell’amore, oppure è l’amore, che ci hanno donato, anche in un frammento di vita vissuta, a farsi tempo nel nostro cammino: spazio di esistenza percorso da insegnamenti. Questi pensieri, forse un po’ troppo bizzarri, si sono fatti strada nel lento cammino di una attenta riflessione pomeridiana. Quando si raggiungono momenti alti di meditazione, le assenze diventano presenze, suscitando una immateriale empatia riposta negli angoli più ameni dell’anima. Mio padre procede lentamente, con compostezza, dal volto traspare la malinconica ricerca di un senso: preghiera che si staglia sulle prime ombre al calar della sera.

Anche la mia preghiera si sofferma nella contemplazione dell’amato volto materno. Scorrono nella mente le immagini del passato che si rincorrono sulla retina del presente e nell’andare prendono forma e vita. Parlare di fine, in questo luogo, acquista un nuovo significato: rinascita, che ci attende quando calerà il sipario sulle nostre vite terrene. Auspico di poter vivere il dolore della pandemia come ricordo del passato. Sento il silenzio che alita sui confini del giorno: raccordo di pensieri e parole per far sbocciare praterie di fiori sui sentieri del destino. Recupero lo spazio sacro di una meditazione, che mi induce oltre i margini del presente. La quiete evoca la pace dello spirito. Una lacrima solca il volto fino a posarsi sul tetto dell’anima.

Il ricordo di mia madre ritorna come reflusso dell’onda sulla spiaggia. Le conchiglie ricoperte di sabbia, luccicanti come pietre preziose, riposano adagiate sugli scogli della vita: brillanti ghirlande d’incantevole bellezza”.