Il ricordo del terremoto in Irpinia del 23 novembre 1980

Il ricordo del terremoto in Irpinia del 23 novembre 1980

Novembre 23, 2025 Off Di Mario Baldassarre
Immagine tratta da https://www.nuovairpinia.it/

Le emozioni si vivono e si incontrano nei cammini dell’anima, quando lo spirito è predisposto ad accogliere ogni piccola cosa, nell’incanto di nobili sentimenti, fino a creare una palpabile e intensa suggestione.

Talvolta, il sentire così forte supera gli ostacoli del tempo e, in un battito di ciglia, può donare la bellezza di un infinito leopardiano. In questi momenti si fa strada un sentimento immateriale così fine, che voglio ricordare con il filo sottile della scrittura e il passo soave della lettura, così da assaporare, nel lento masticare, un momento che necessita di essere rivissuto e ricordato.

Quella domenica del 23 novembre 1980 l’Avellino ribadì la storica “legge del Partenio” contro l’Ascoli, fu 4 a 2 (gol di: aut. Scorsa, Juary e doppietta di Ugolotti per l’Avellino e Trevisanello II e Scanziani per l’Ascoli). Le cronache raccontano di uno stadio pieno e di una partita bellissima, i cinque punti di penalizzazione per via del calcio scommesse erano stati annullati. Alle 19:00 su Rai due c’era la sintesi di una gara di serie A: Juventus – Inter – 2-1 (gol di: Bradysu su rigore al 5’ e Scirea al 24’ per la Juve e Ambual 79′ per l’Inter). Alle ore 19:34 un boato, simile ad un’esplosione, cambiò la vita di tanti.

Il tepore e il riposo, vissuti accanto al focolare domestico, ben presto fecero spazio a un trambusto concitato di disorientata preoccupazione. Tutti scapparono. Tempestivo fu il riflesso di mio nonno (Francesco Baldassarre – Montefalcione 1917-2006) che, con istinto felino e scatto da lepre, si precipitò in strada. I lampioni erano spenti, fu fermato dalla forza funesta del terremoto che ancora imperversava; faticò ad andare avanti. Il buio come coltre di dolore era calato a cancellare certezze, creando instabilità dove c’era equilibrio e mitezza.

L’aver vissuto Il terremoto dell’Irpinia e del Vulture del 23 luglio 1930, richiamò alla mente un pericolo da cui fuggire e la necessità di mettersi in salvo. Vigile e altrettanto rapido fu il riflesso di mia madre (Melania Schiavone – Montefalcione 1950-2019) che corse per mettere in salvo me e mio fratello che con la zia (Teresa Baldassarre – Montefalcione 1925-2002) ci trovavamo alla fine del caseggiato da nostri parenti (Giovanni Baldassarre 1924-2007 e Antonia Baldassarre 1925-2018) per gustare fetta di pane panisco (prodotto tipico dell’Irpinia preparato con farina di mais e mosto cotto).

La corsa e la paura credo siano stati più incisivi del terremoto; l’intensità senz’altro sarà stata paragonabile ai circa 90 secondi della scossa. La porta della cucina si aprì con fatica, gli stipiti erano danneggiati: anche quello fu panico! Vivevo l’innocenza dei miei primi anni, non potevo capire cosa fosse il pericolo: sorrisi a mia mamma, poi piansi, perché portato via con veemenza. Le notti successive le trascorsi in una baracca di campagna, ricavando uno spazio di riposo e ristoro fra cumuli di fieno e paglia. Si condivideva questo ameno angolo di vita contadina con la gran parte delle persone che vivevano nel casolare di San Marina, ai più conosciuto come “Surdi”: il dolore è un comune denominatore che affratella donando ristoro condiviso.

I più piccoli dormivamo in un rudimentale carretto, destinato al trasporto degli animali, surrogato di una confortevole culla: anche questo è stato un elemento significativo dei miei primi anni di vita. Imparammo ben presto a convivere con le ripetute scosse di assestamento e per molto tempo rimanemmo in campagna, allestendo alla meglio la stufa economia Zoppas per cucinare e riscaldarsi.

Quel tempo segnò uno spartiacque nel tempo e nella memoria delle genti che, rievocando gli eventi, li collocavano nel tempo “prima o dopo il terremoto”. Le tragedie non sono mai uguali, nel tempo in cui rivivono e maturano rimandano a tristezza e prova. “Fate presto”, fu l’appello lanciato dalle colonne de “Il Mattino”, raccogliendo quel grido di dolore che segnò la vita di tanti nell’inesorabile quiete di una normale serata di novembre. La condivisione, vissuta in quei momenti concitati, ha un sapore delicato che armonizza i buoni sentimenti, restituendo attimi di intensità conservati con cura negli angoli della memoria.

Queste condizioni permettono di valorizzare gli elementi indispensabili con i quali affrontare le nodosità del presente, restituendo l’essenzialità e l’autenticità di un tempo. Quel tempo che venendo allo scoperto dà più senso alla nostra storia.