
La fiducia che riposa nell’attesa
Luglio 23, 2023
La perdurante calura estiva tiene sotto scacco le giornate di queste ultime settimane, senza una tregua alle incalzanti temperature. L’afa rende le notti irrequiete e le giornate difficili e pesanti, talvolta, con cali pressori, senso di apatia o inettitudine.
La fattività sembra rinviata al ritorno della frescura, per stemperare lo stato di torpore e ridare una nuova spinta di vitalità. È tempo di mietitura; mi sovvengono felici pensieri di un passato dal sapore contadino in cui la fatica era finalizzata a riempire i granai: un’estate da formica, che pur segnata dal duro lavoro, donava gioia e soddisfazione. Ho spesso l’impressione che il progresso abbia invece reso i nostri giorni stagioni da cicale, nell’estenuante rincorsa alla ricerca di facilitatori o di strumenti adatti a ridurre il lavoro fisico e il senso di spossatezza.
Anche questa domenica il testo evangelico ripropone aspetti della vita quotidiana che rimandano alla stagionalità delle produzioni agricole. Gesù parla in parabole, usando il linguaggio dell’umiltà, che arriva al cuore e coinvolge lo spirito: purezza di sentimento che ha origine da Dio e a Lui giunge, nell’ottica di un amore che si rafforza nel suo vissuto. Gesù si rivela un buon “agronomo” e dà lezioni di stile, che presentano verità valide per ogni tempo e invitano ad attente riflessioni. Il Vangelo offre similitudini sorprendenti, che al tempo stesso interrogano le nostre coscienze. «Il regno dei cieli si può paragonare ad un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò» (Mt 13, 24-25). Il buon seme e la zizzania: il bene e il male. In questa visione appaiono, tuttavia, condizioni poco convincenti quando ci si erge, con orgoglio, a sentirsi “buon seme”. Occorre un sano discernimento e la consapevolezza che esistono queste due forze, che convivono e sono sotto lo sguardo misericordioso del Padre.
«Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?» […] E i servi gli dissero: «Vuoi che andiamo a raccoglierla?». «No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano» (Mt 13, 27-29). La pretesa di eliminare il male, talvolta paradossalmente con il male stesso, è l’ostinatezza del nostro oggi. I danni, ad ogni modo, sono sotto gli occhi di tutti e si riflettono in maniera preoccupante nel nostro tempo e nelle nostre vite. In agricoltura, dinanzi all’insorgenza di agenti patogeni, c’è l’estenuante tendenza ad usare prodotti “eradicanti”, che portano ad una completa eliminazione della malattia; le sostanze utilizzate, pur mantenendo un’alta efficacia, garantendo così laute produzioni, hanno un alto impatto ambientale con conseguenze negative per l’ambiente, per la salubrità delle produzioni e, di conseguenza, per la salute e il benessere dei consumatori.
Il male e il peccato sono stati redenti con il sacrificio della Croce, tuttavia, non possiamo pensare di essere integralmente buoni (grano) e non essere contaminati dal male (zizzania). È necessario sentirsi figli amati, con le virtù, le debolezze e le fragilità e disporsi con umiltà all’azione misericordiosa del Padre. Dio, infatti, non utilizza una soluzione “eradicante”, ma lascia che il grano e la zizzania crescano insieme, per poi raccogliere e bruciare quest’ultima, riponendo il grano nel granaio. La misericordia è forza guaritrice che conferma la purezza di un cuore abitato e vissuto dall’amore di Dio. «Il male infatti non revoca il bene che tu hai potuto fare, è invece il bene che revoca il male.
E la spiga possibile, il bene possibile domani è più importante del peccato presente, del male passato» (Ermes Ronchi, Le ragioni della speranza – Commenti ai Vangeli domenicali, anno A, Edizioni Paoline).
Mario Baldassarre