
L’obbedienza cristiana come atto d’amore
Gennaio 19, 2025
“L’obbedienza non è più una virtù” sosteneva don Lorenzo Milani negli anni Sessanta. Un messaggio chiaro lanciato dal pulpito di Barbiana per testimoniare il forte dissenso quando il governo emana delle leggi ingiuste che vanno a ledere sacrosanti diritti dei poveri, generando disparità e disprezzo.
Il messaggio innescò ampie polemiche, coinvolgendo la Chiesa cattolica, numerosi intellettuali e politici dell’epoca. Da Barbiana in quegli anni furono mosse aspre critiche al sistema scolastico e sociale, attraverso gli scritti degli scolari, che ritenevano gli insegnamenti e la scuola tradizionale “un ospedale che cura i sani e respinge i malati”. Don Milani fu un profondo assertore dell’obiezione di coscienza, in opposizione al servizio militare obbligatorio, e per questa ragione fu processato per apologia di reato, ottenendo l’assoluzione in primo grado l’anno prima di morire, poco più che quarantenne.
Il testo con il quale don Milani osteggiava il servizio militare e le atrocità delle guerre, pubblicato sul quotidiano fiorentino “La Nazione”, è di una disarmante attualità, proprio in questo momento storico particolarmente critico, segnato da numerosi eventi bellici che si riflettono sulla pelle di vittime innocenti, creando situazioni scabrose di povertà e inaridimento socioculturali con critiche conseguenze che si riflettono nel cammino della storia dei paesi interessati. La protesta di don Lorenzo Milani si fondava su solidi principi cristiani e la disobbedienza verso questo stato di fatto era un dovere più che un diritto, nonostante le conseguenze avutesi.
«Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto» (Don Lorenzo Milani, L’obbedienza non è più una virtù, Libreria editrice fiorentina).
Alla luce degli eventi che caratterizzano il profilo della storia contemporanea e degli sviluppi socioeconomici e politici, l’obbedienza ha irrimediabilmente perso le connotazioni di virtù, in ogni ambito, diventando una forma di debolezza e passività. Nel nostro tempo, sempre più segnato da forme spregevoli e pretenziose di orgoglio, prevale il pensiero nietzschiano del “superuomo” e una visione nichilistica e pretenziosa. L’abuso di una “contestazione ad oltranza”, evidente in ogni ambito sociale, genera disordine, fomentando stati di malessere e conflittualità. Manca il senso della misura e dell’equilibrio, l’umiltà nel sapersi mettere in discussione, analizzare in maniera critica la realtà, la rettitudine nel saper e voler riconoscere i propri errori.
L’obbedienza cristiana come espressione di fiducia in Dio e nel suo incondizionato amore per l’umanità è, al tempo stesso, alta espressione di amore, secondo una visione circolare e reciproca. Maria silenziosamente ha aderito in maniera incondizionata al piano di salvezza di Dio, pur disattendendo l’ordine di tiranni con la fuga in Egitto (cfr Tonino Bello, Maria, donna dei nostri giorni, San Paolo). «Fate quello che Egli vi dirà» (Gv 1, 5), dice Maria ai servi alle nozze di Cana. La fiducia e l’abbandono incondizionato alla volontà di Dio hanno permesso di notare i bisogni e presentarli a Gesù in umile e fiduciosa preghiera (cfr don Dolindo Ruotolo).