
Sant’Antonio disceso dall’Altare tra la sua gente
Agosto 17, 2025
La presente riflessione va ad analizzare la tradizionale peregrinatio della statua di Sant’Antonio, patrono di Montefalcione (AV), che si ripete con cadenza quinquennale nelle campagne del paese. n particolare, viene ricordato il solenne momento in cui, per la prima volta, nell’anno 1988, il Santo ha visitato la contrada Santa Marina nel comune di Montefalcione.
Scrivo questa memoria nella Venerabile Confraternita della Buona Morte. In questo Sacro edificio, eretto sotto gli auspici di Sant’Antonio, della Vergine Immacolata e del Santissimo Corpo di Cristo dall’Arcivescovo di Benevento Orsini l’11 maggio 1695, vedo le “vesti nobili”, finemente ornate da preziosi ricami per essere indossate durante la processione del Santo.
Qui tutto è bellezza: gli affreschi dell’artista Raffaele Iodice realizzati nella prima metà del XX secolo; il Coro ligneo, opera degli artigiani del luogo, dove i confratelli, oltre alla recita dell’Ufficio delle letture in latino, amavano pregare il Patrono con il celebre Responsorio, “Si quaeris miracula”, tradizionalmente composto da Fra Giuliano da Spira nel 1233.
Le piazze e le campagne sono stati luoghi prediletti delle ardenti predicazioni antoniane, dove il Vangelo raggiungeva il cuore del popolo.In sintonia con questa solenne tradizione, a Montefalcione nel lontano 1988, in occasione dei trecento anni della proclamazione di Sant’Antonio a Patrono, venne istituita la “visita” del Gran Santo di Padova nelle campagne. Fu questa la brillante intuizione, come dono dello Spirito Santo, di Mons.
Don Vincenzo De Vizia, che sapientemente coniugava il Vangelo con l’impegno sociale, dosando austerità e generosità. Il cammino del Taumaturgo, disceso dall’Altare tra la sua gente, si ripete ogni cinque anni, con sosta notturna e veglia di preghiera nelle contrade di San Fele, Santa Marina e Stazione. La peregrinatio del Santo giunge nelle più vicine località dei comuni limitrofi, un tempo percorse dai laboriosi “masti ‘e festa” per la “cerca del grano” a dorso d’asino.
Seduto sugli scranni della chiesa confraternale della Buona Morte, alla luce filtrata dalle vetrate, che rifulge sul volto sereno di Sant’Antonio, custodito nella sua nicchia, faccio un tuffo nella memoria di me bambino durante la prima visita del Santo nell’amena contrada Santa Marina. L’attesa era tempo sacro, fatto di silenzi condivisi, sguardi all’orizzonte e fervida preparazione.
Tutto il “casale” era coinvolto. Mai potrò dimenticare la premura amorevole di mia madre e delle altre donne che, sin dalle prime luci dell’alba, erano intente a preparare pane, dolciumi e cibarie di ogni tipo perché, dicevano, al Santo “niente addà mancà”.
Nella “fazzatora” (madia) con la sola forza fisica, a pugni chiusi e braccia ben distese, si impastava “’o criscito” (il lievito madre) per preparare il pane che, benedetto e condiviso, diventava simbolo di carità, protezione divina, garanzia di certezza di grazie distribuite generosamente a piene mani, come il gesto del buon seminatore.
Il forno per la cottura dei pani ben lievitati veniva preparato con sapienza, pazienza e maestria: virtù e riti dell’antica tradizione contadina. All’atto di infornare veniva sussurrata l’antica preghiera benedicente: “crisci pane dint ‘o furno, crisci bene pe tutto o munno”.
Questi riti erano pegni pregni di fede, che attuavano il messaggio contenuto nei versi recitati da don Maurizio Patriciello: «La speranza s’intrufola dove l’occhio non giunge. Trattala bene. Fattela amica. Invitala a cena. Falla parlare. Viene per dare non per rubare».
L’arrivo-apparizione di Sant’Antonio vedeva ritornare nel focolare domestico il fraterno amico, il confidente per ritessere quell’antico dialogo. Lenzuola stese al vento, doni di spose e di madri, con merletti finemente ricamati al tombolo, balconate ornate da candidi gigli e fiori di campo, tanto cari al Santo, rinnovavano il clima di festa. I fuochi d’artificio in segno di devozione e gratitudine onoravano la presenza del Sacro tra la folla festante.
Il Santo veniva accompagnato nella chiesetta di Santa Marina dal canto e dalla musica della fisarmonica suonata a orecchio da Ngillo (Angelo Della Vittoria). Quelle note strimpellate esprimevano il respiro dell’anima: melodia donata nata sul pentagramma del cuore.L’amato Santo Patrono veniva posto accanto all’altare ligneo, realizzato dalla maestria di Lino Accurso.
In una recente visita, S. E. Mons. Luigi Barbarito, emerito Nunzio Apostolico a Londra, espresse un vivo apprezzamento: «Con mani devote, questo sapiente intagliatore ha inciso nel legno la Parola eterna del pane e del vino: la vite che dona il Sangue e il grano che si fa Corpo di Cristo». La preghiera durante la veglia notturna confermava l’importanza di custodire il Sacro.
Alle prime luci dell’alba si iniziava a presagire la partenza del Santo e già qualche lacrima di commozione cominciava a rigare il volto dei fedeli in preghiera.
L’addio si declinava nelle forme e nei modi della tradizione dialettale contadina, che nasceva dalla purezza del cuore: «Statti buono Sant’Antonio, mantenimmoci forte e, se Dio vole, a presto ce verimmo ancora qua!»