Sant’Antonio nel volto della tradizione popolare

Sant’Antonio nel volto della tradizione popolare

Agosto 24, 2025 Off Di Mario Baldassarre

Le emozioni si vivono e si incontrano nei cammini dell’anima, quando lo spirito è predisposto ad accogliere ogni piccola cosa che sfugge dalla disincantevole materialità e si avvia nell’incanto dei sentimenti, fino a creare una palpabile e intensa suggestione.

Una accorata testimonianza di amore e dedizione, segna le pagine dei tradizionali festeggiamenti in onore di Sant’Antonio a Montefalcione. La tradizionale devozione al Santo taumaturgo affonda le radici in un passato fatto di fatica, sacrifici e stenti.

Care mi sono le immagini bucoliche della fanciullezza, quando assaporavo la fragranza dei “cunti” contadini nelle calde serate estive, seduto ad ascoltare la voce narrante del nonno sul gradone di casa: parole e pensieri di saggezza antica, al danzare scintillante delle lucciole. Restano sempre accese le fiaccole di quell’epoca e con esse il sapore che inebria i sensi e i sentimenti.

Ho ritrovato, nella memoria di me fanciullo, i racconti di mio nonno Francesco, classe 1917, masto ‘e festa di Sant’Antonio nel secondo dopoguerra, che con generosità mi “consegnava” un patrimonio immateriale da custodite e tramandare alle future generazioni: frammenti della cultura orale spontaneamente riaffiorano da un passato fatto di sacrifici e stenti.

«Nelle calde serate estive – mi confidava il nonno -, che anticipavano le festività agostane in onore di Sant’Antonio, dopo aver governato le bestie, si preparavano le imbrigliature e il basto, si sistemava la ferratura degli zoccoli dell’asino o del mulo e a ponta ‘e juorno (all’alba) si usciva per “cerca del grano” di sant’Antonio. La frescura mattutina donava allegrezza che si respirava a pieni polmoni. Si percorrevano sentieri sconnessi, strade mulattiere sino a giungere ai Percianti e ai Lolli. I zappaturi ci attendevano con gioia e commozione, le donne co ‘o maccaturo arravogliato ‘ncapo (fazzoletto attorcigliato posto in testa per ammortizzare il peso di quanto sorretto) giungevano con in testa un mezzetto (un cilindro costruito con doghe di legno che conteneva, rasato, 21,5 kg di grano) o un sacchetto di grano da donare a sant’Antonio. Era grano frisco ‘e scogna (grano appena trebbiato).

Il grano raccolto si sistemava a dorso d’asino o di mulo, successivamente di cavallo e si procedeva fino a tardi, facendo, di tanto in tanto, abbeverare le bestie a un fiumiciattolo o alla vasca di una pischera (serbatoio scavato nel terreno e alimentato da acqua corrente). Nelle aie campagnole in cima alle casazze (covoni di grano) si scorgeva in bella mostra la figura del Santo. C’era anche chi offriva qualche barile di vino; non mancavano dei momenti conviviali di ristoro per poterci asciugare la fronte madida di sudore. Il raccolto, unito a quanto portavano autonomamente le donne, veniva deposto nella Cappella della Madonna della Salette nella Chiesa Madre, in attesa della benedizione e della successiva vendita per sostenere le spese della festa». Ogni montefalcionese, con fede e devozione, donava quello che poteva come l’obolo della vedova richiamato nelle vicende evangeliche (cfr Mc 12, 41-44; Lc 21, 1-4).

Conservo vivo, nel ricordo della mia infanzia, dei primi anni ’80, quando indossai il saio come quello di Sant’Antonio. Una testimonianza intrisa di amore materno rivolta all’intercessione del Santo per la guarigione della mia salute cagionevole.

Mia madre (Melania, 1950-2019) per l’occasione, al mercato settimanale, con acume scelse il pezzo di stoffa più adatto poi cucito su misura con maestria dalla sarta montefalcionese Accurso Evelina Maria.