Sòdoma e Gomorra del nostro tempo

Sòdoma e Gomorra del nostro tempo

Luglio 9, 2023 Off Di Redazione

Meditazione (Gn 18, 20-32)

Dove la perversione e l’immoralità sono dilaganti, il peccato si diffonde a macchia d’olio sino a contaminare nuove realtà. Il progresso pare mantenere una condizione di proporzionalità diretta con la peccaminosità. Le nuove frontiere, nel segnare livelli di benessere materiale crescente, nascondono spazi di contagiosità in cui si palesano, con chiarezza, situazioni di squallore, che testimoniano una regressione della moralità. Le nuove conquiste, spesso, vengono percepite come senso di emancipazione verso forme di indipendenza, che aborriscono le relazioni, in nome di una individualità apparentemente appagante. La solitudine, nel trasformarsi in isolamento, fa emergere condizioni deprimenti e, con esse, l’odio e la spregiudicatezza conducono al male e a forme di immoralità scandalose. Il senso del gusto si è trasformato in abbuffata compulsiva verso la ricerca di sensazioni quantitative, non emozioni qualitative. Appagare bisogni corporali non equivale a raggiungere una crescita morale; le due condizioni, spesso, sono in collisione e si dà spazio a tangibili condizioni materiali.

«Non il molto sapere sazia e soddisfa l’anima, ma il sentire e gustare le cose internamente» (Sant’Ignazio di Loyola).

Questo perdurante stato, che si alimenta con una reazione a catena, deve essere contenuto per garantire sane forme di crescita socio-culturale e prospettive di benessere sostenibile per le giovani generazioni. Talvolta, le condizioni verso un cambiamento di rotta impongono sacrifici e privazioni: ogni modifica di abitudine ha riflessi amari sul corpo e sull’emotività. Le prove sono viste e vissute come forme di castigo divino; difficilmente, si riescono a leggere e a cogliere le opportunità. Il lamento, troppe volte, accompagna un senso di imprecazione contro un Padre ritenuto poco amorevole che, in nome del bene, permette il male. Quando le condizioni diventano difficili, si colpevolizza un’ingiustizia paterna o si mette in discussione la fede. È necessario saper e poter cogliere le opportunità, senza leggere gli eventi attraverso la lente di un infausto destino.

Dio permette il male perché da esso trae sempre, misteriosamente, un bene maggiore.

«Il male ce lo diamo da noi stessi, privandoci della sua grazia, che la sacra Scrittura presenta come scudo, come corazza, come protezione. Quando fai qualcosa di male, ti privi della benedizione divina. In questo senso nella Sacra Scrittura si legge che “chi pecca, danneggia se stesso” (cfr. Sir 19,4). Ed è per questo che Giovanni Paolo II ha detto che il peccato è sempre un atto suicida (Reconciliatio et Paenitentia 15). […] Anche i giusti e i santi devono passare attraverso tante tribolazioni. Ecco la motivazione che ne dà San Tommaso: “La cura circa i tralci buoni consiste nel renderli ancora più fruttuosi: ogni tralcio che porta frutto lo pota, perché porti più frutto […], ossia perché cresca nella virtù, cosicché i suoi quanto più sono puri, tanto più portino frutti» (Padre Angelo Bellon, Commento al Vangelo di san Giovanni 15, 2).

Gli episodi di Sòdoma e Gomorra, città simbolo del vizio e della perversione, richiamati nel libro della Genesi (cfr. Gen 18, 20-32), adirano il Signore. Quando il vizio e il peccato mantengono le redini di una società, si palesa un senso di impoverimento morale: l’odio e le tensioni conducono ad un’autodistruzione imputata, il più delle volte, a cause esterne o a un Dio giustizialista.

Nel dialogo-preghiera tra Dio e Abramo, la condanna del peccato fa da contraltare a un Dio misericordioso, mosso a pietà dinanzi alla conversione del cuore. La salvezza di un popolo dipende dalla disponibilità verso comportamenti rinnovati e all’accoglienza del comandamento dell’amore vicendevole, come accadde ai niniviti convertiti dalla predicazione di Giona.

«Il grido contro Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!» (Gen 18, 20).

Sono dure le parole di Dio verso le città simbolo del vizio e della perversione. L’uomo è stato generato dall’amore di Dio; solo questa virtù può renderlo a Lui più vicino. Quando l’amore devia in libertinaggio, sfruttamento ed effimere sensazioni corporali, emerge il vizio che conduce alla tomba del peccato. Sono questi i presupposti che fanno maturare l’ira di Dio verso Sòdoma e Gomorra e verso tutte quelle situazioni di infedeltà che ancora perdurano con spregiudicatezza ai nostri giorni.

Quando l’uomo sceglie il peccato, travisando l’amore in istinto, libertinaggio, sensazione del corpo, inevitabilmente si profilano situazioni complicate, che generano forme di impoverimento, tensioni, fino ad inesorabili collassi di civiltà, come fu per Sòdoma e Gomorra. Sono necessarie forti prese di coscienza, senza la spregiudicatezza di imputare colpe altrui per mancanza di senso di responsabilità.

Nel testo biblico appare un Dio buono che negozia il perdono fino alla più piccola stilla di bene; un Dio che non baratta il bene col male, non usa la moneta del compromesso, ma lascia libero l’uomo e «perdona tante cose per un’opera di misericordia», come dice Lucia all’Innominato sulla soglia della conversione.

Sòdoma e Gomorra rappresentano le città del nostro tempo, sempre più intarsiate da tanto male in ogni angolo del sociale. Le prove sono causate dalla mano dell’uomo, che ha sempre meno cura della natura e della casa comune; le conseguenze possono diventare delle opportunità di redenzione e crescita o, nel peggiore dei casi, un ulteriore pericolo. È compito degli educatori, della politica e di ognuno, nel proprio ambito, recuperare una sana coscienza civica e morale per costruire ponti e prospettive di bene. È necessaria una fattiva impronta sinergica per migliorare le condizioni di vita e di vivibilità, recuperando una sana relazione con un Padre che è amore, così da farsi preghiera, come fu per Abramo.

Mario Baldassarre