Le Beatitudini come atto di speranza e salvezza cristiana

Le Beatitudini come atto di speranza e salvezza cristiana

Febbraio 13, 2022 Off Di Redazione

La ricerca della felicità da sempre ha interessato la natura umana al pari di un’attitudine o una condizione determinata geneticamente. Gli obiettivi che ciascuno si pone, molto spesso, sono volti ad ottenere dei vantaggi o a raggiungere dei risultati appaganti e sicurezze durature. Si pensa e si crede che sia felice chi non si sacrifica, il ricco che accumula sicurezze e vantaggi solo personali. Le situazioni, così delineate, si configurano come soluzioni egoistiche, apparenti, momentanee. È risaputo che il senso comunitario porta vantaggi sociali ed economici con valori aggiunti sempre crescenti. Teorie economiche accreditate giustificano e dimostrano tutto ciò, eppure prevale il senso dell’”io” che molto spesso è solo un palliativo che ingabbia. Papa Francesco, al riguardo, in questo tempo sospeso, ricorda che “nessuno si salva da solo”. Gli eventi hanno ampiamente dimostrato questa profonda verità, tanto è vero che a più livelli si è sviluppata una cordata di solidarietà che tenuto vive le sorti di un’umanità sempre più provata.

La lettura evangelica domenicale propone un tema forte che rafforza queste prospettive, attraverso sentimenti caritatevoli, e ribalta consolidati scenari di umana concezione.

Le beatitudini, declamate da Gesù, propongono situazioni sconvolgenti, apparentemente ostili secondo una visione strettamente materiale. Un Dio che “moltiplica dividendo” sembra rifuggire ogni logica matematica, eppure è evidente che il pane della condivisione è quello che sazia. Un figlio che s’immola per gli altri è tacciato di ingenuità, eppure dal sacrificio della Croce è fiorita la salvezza dell’umanità. Se non siamo sonnambuli questo Vangelo ci dà la scossa. Il luogo della felicità è Dio, ma il luogo di Dio è la Croce e le infinite croci degli uomini.

«Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati.» (Lc 6, 20-21)

La povertà vuol dire libertà del cuore dai possessi, libertà come pace con le cose, pace con la terra. Il ricco invece è un uomo sempre in guerra e, come tale, primo soggetto del disordine del mondo. «Il mondo non è e non sarà, né oggi né domani, sotto la legge del più ricco e del più forte. Il mondo appartiene a chi lo rende migliore.», sottolinea padre Ermes Ronchi. È un appello al buon cammino, fatto di soluzioni forti e durature che passano attraverso il senso dell’abnegazione, del sacrificio, quali uniche fonti che possono alimentare ogni forma di benessere per il corpo e lo spirito.

Gesù, infatti, è venuto a consolare con il lieto annuncio, invitando a rallegrarsi perché la “ricompensa è nei cieli”, non nella logica della natura umana.

Mario Baldassarre